È difficile definire il dolore. Tutti lo conosciamo attraverso le nostre esperienze di vita, ma ognuno lo chiama con nomi e colori soggettivi. Certamente è una sensazione che attanaglia il corpo, un’emozione che trafigge il cuore, un pensiero fisso che conquista e ingombra tutta la mente. Il dolore sfinisce. Quando è piccolo, ne parliamo con tutti, lo condividiamo in cerca di conforto e alleggerimento. Quando è grande, ci ritiriamo e lo viviamo nel silenzio.
Ci umanizza, ci sensibilizza, ci avvicina all’altro, perché ci rende recettivi rispetto alla vulnerabilità, sia che lo stiamo vivendo in prima persona, sia che lo scorgiamo nel prossimo come sua condizione. Eppure incredibilmente risveglia anche un senso autocritico, perché, quando soffriamo, qualcosa dentro di noi ci rinfaccia di essere inadeguati, inabili, ci fa sentire sconvenienti socialmente, diversi e quindi giudicabili.
E di solito, vista la nostra relativa propensione all’accettazione, non arriva solo, ma porta con sé paura, ansia, rabbia. Già mentre soffriamo, si sviluppa in noi la paura di soffrire ancora e il dolore allora diventa agonia, un monumento incrollabile. E la rabbia che nasce dal patire assume la forma di una strategia reattiva e disfunzionale. Ce la prendiamo con la vita, con gli altri, ma soprattutto con noi stessi, immergendoci nel calderone delle presunte colpe.
Ma il dolore è anche la possibilità della terapia. Ci spoglia e ci riconduce all’essenziale, ridimensionando i disagi che viviamo come tragedie e cancellando i problemi immaginari. Se ne facciamo tesoro, può insegnarci il valore della dignità. Possiamo viverlo come un fatto intimo, con un atteggiamento asciutto e misurato, senza indulgere nella lamentela. In altri termini, trattandolo con rispetto. Nel suo primo romanzo Peter Camenzind, il Nobel Herman Hesse scriveva:
“Incominciai anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci”.
La prima risorsa del dolore è riportare l’attenzione su noi stessi. Certamente, possiamo farlo in maniera egoica o vittimistica, considerandoci gli unici a soffrire, soggetti sfortunati o perseguitati da una vita matrigna. Questo non gioverà. Possiamo invece scegliere di sviluppare un comportamento amorevole e paziente nei nostri confronti, imparando a darci quelle attenzioni e quella protezione che nessuno ci ha insegnato, così come ci offriremmo di sostenere una persona amata in difficoltà. Prendersi cura di sé è amor proprio, non egoismo, ed è la base di un cammino d’amore autentico. Amiamo davvero, quando prima abbiamo imparato a riservare per noi questo sentimento, nel riguardo e nell’accudimento della nostra vulnerabilità, che, trattata come risorsa, piuttosto che come disagio, ci connetterà all’altro empaticamente.
Descriviamo allora delle strategie per accudirci nei momenti di sofferenza.
Prima di tutto, il dolore può insegnarci l’accettazione. Di noi, della condizione oggettiva che non possiamo cambiare, del dolore in sé. E non è un atteggiamento di passività o di sconfitta, ma una sana accoglienza di ciò che sta accadendo, come presupposto di un processo di trasformazione. Per trasformare il dolore, occorre infatti guardarlo negli occhi senza tentativi di elusione, in purezza. Accogliere quella nudità che ci propone come autenticità, avendo il coraggio di chiederci
“da dove viene la mia sofferenza? Qual è la sua reale origine?”
Perché, al di là della causa estrinseca, qualcosa di più profondo o nascosto, non vede l’ora di rivelarci la sua identità e questa informazione diventa utilissima per risanare la nostra ferita. Accettazione significa anche accogliere l’idea che non possiamo piacere a tutti e che gli altri ci giudicano, come d’altronde facciamo noi. Questo stempra il timore di deluderli. Accogliere la nostra imperfezione, condizione di fondo della nostra umanità, significa liberarci e imparare che è più sano sbagliare che smettere di provare.
Un altro punto determinante è ricordare che ogni processo materiale e interiore richiede un tempo. Dovremmo quindi praticare una certa indulgenza verso noi stessi, comprendendo che fretta e ansia non sono buone compagne di viaggio e che attraverseremo fasi prima di recuperare la condizione che auspichiamo. Dovremmo mantenere integra la fiducia che ogni passaggio sarà prezioso per cambiare pelle e che potremmo essere una persona migliore.
Proponiamoci anche qualcosa di pratico, sollevandoci dall’idea che inseguire il sollievo attraverso il piacere sia sconveniente. Il piacere è la radice della vita, a differenza di quello che ci hanno trasmesso, insegnandoci la via della penitenza. Ecco allora qualche piccola idea da concretizzare ogni giorno.
- Concediamoci di fare cose solo per il gusto di farle. Sarà importantissimo per ricominciare ad assaporare la vita e per nutrirci di quei semplici entusiasmi che riattiveranno la sensazione di benessere
- Visto che l’imbrunire e la notte sono più complessi per la gestione di tutte quelle emozioni che riemergono al di là della nostra gestione, facciamo ogni sera una doccia o un bagno a luci spente. Il buio è rilassante. È un’alcova intima dove ritrovare noi stessi, guardare a pensieri ed emozioni, per poi lasciarli andare insieme all’acqua
- Realizziamo una lista dei piccoli piaceri della sera, attingendo all’esperienza di ciò che ci dà solitamente gusto nella quotidianità e attivando come mini rituali d’amore per noi stessi quelle azioni che ci alleggeriscono il cuore. Non avremo più la scusa di dire che non sappiamo come prenderci cura di noi
- Creiamo lo scrigno dell’amor per sé. Una scatola in cui metteremo tanti biglietti di cose da fare per noi. Azioni che durino dai 5 ai 20 minuti. Ogni giorno, in qualsiasi momento, potremo pescare a sorpresa e regalarci questa carezza, soprattutto quando sentiamo la tentazione di ricadere
Comments (5)
Enrica Corso
Agosto 6, 2020 at 18:58Come sempre, cara Zuleika, sai accompagnarmi con delicatezza e cuore. Grazie❤️
Zuleika
Agosto 7, 2020 at 6:21Grazie a te per leggermi, cara Enrica
Giovanna Isabella
Agosto 8, 2020 at 9:27Grazie infinite per le tue parole, Zuleika…
Namastè
✨????????????
Zuleika
Agosto 8, 2020 at 9:52Col cuore
Barbara
Settembre 17, 2020 at 15:48Le tue parole sono carezze per la mia anima.
Grazie