Le donne e gli uomini che leggono un articolo come questo sono persone che hanno accettato di passare attraverso i luoghi comuni e le verità spicciole di tutti i giorni per rivedere se stessi alla luce di una rinnovata auto-conoscenza e di un coraggioso disegno di miglioramento del proprio quotidiano.
Quando guardiamo in maniera diretta la difficoltà, superando quello stato di disagio che avvertiamo come costante sottofondo e che ci immobilizza assuefacendoci a una vita di trincea, compare la possibilità della soluzione. In altri termini solo quando si esplicita la crisi, l’essere umano attiva le risorse per superare ciò che gli è di impedimento e conseguire una condizione di benessere.
Decisamente l’uomo occidentale contemporaneo subisce in questo momento storico una variazione delle abitudini e dello stile di vita, segnale che il patriarcato cede il posto a una nuova sensibilità. Sebbene ciò, come ogni cambiamento, sia in parte destabilizzante, gli dona l’opportunità di riscoprire quelle parti di sé che ha trascurato per millenni perché considerate femminili. È di fronte ai suoi disagi: la comunicazione con l’altro sesso, la collocazione in società, la genitorialità, il principio di dovere che si contrappone a quello di piacere.
Per questo può sentirsi in modo nuovo ed è proprio la sensazione di costrizione che gli arreca sofferenza a metterlo in diretto contatto coi suoi bisogni. L’uomo ha necessità di sentirsi tale, non secondo i dettami di un costrutto sociale che non lo rispecchia più, ma nel rispetto della sua autenticità. Ha bisogno di riscoprire la propria naturalezza per poter perseguire obiettivi congrui. Troppo spesso ha rinunciato a se stesso per aderire alle aspettative familiari, sociali… Tanto da dimenticare cosa vuol dire sognare e rincorrere i propri sogni per realizzarli.
Nel piacere di condividere il mio personale viaggio con tante persone in cammino, un elemento mi balza frequentemente agli occhi. La risorsa femminile che ognuno di noi dovrebbe integrare è la fiducia nel proprio intuito. Si è rotto qualcosa nel momento in cui abbiamo smesso di fidarci delle nostre percezioni e siamo diventati troppo civili, ma ogni eccesso porta uno squilibrio. L’eccesso di civiltà corrisponde alla perdita di contatto con la terra, con le proprie radici, con la propria parte anima-le. Lontani dalla nostra essenza, non crediamo più all’aspetto misterioso e magico della vita e di conseguenza poniamo in discussione il valore dei sogni, perdendo ogni speranza. Eppure essi ci orientano, ci regalano la visone del futuro e della nostra realizzazione o ci mostrano senza falsità la condizione esistenziale che stiamo vivendo, fornendoci l’opportunità di calibrare adeguate strategie nel quotidiano.
Sognare non è soltanto l’attività che svogliamo durante il sonno, ma è anche la capacità di lasciarci andare a un’immaginazione costruttiva, di raccogliere gli input dell’ispirazione che crea i presupposti e la meta dell’azione. Senza intuito, ripercorriamo sterilmente le solite strade, ci accontentiamo di ciò che è già stato fatto, ci abbrutiamo.
Per contro recuperare il valore dell’intuizione ci induce a riscoprire una dote della nostra parte femminile che è la valida medicina al superamento di ogni crisi, quindi adatta al nostro tempo. La creatività.
Qualità che nell’antichità si riteneva esclusivo appannaggio della divinità e che invece è ricchezza dell’essere umano, indispensabile all’apertura di nuove prospettive. Per utilizzare un linguaggio scientifico, è interessante considerare come all’inizio del ‘900 sia un uomo, Henri Poincaré, matematico e filosofo della scienza, a rivalutare e ridefinire questa risorsa, descrivendo la creatività come l’abilità di utilizzare elementi preesistenti in combinazioni nuove e utili. Il criterio di riconoscimento dell’utilità è la bellezza, intesa non in senso puramente esteriore, ma come risultato dell’armonia, dell’essenzialità, della funzionalità.
Le categorie di nuovo e di utile trasformano la nostra vita in una sequela di opportunità, perché raccolgono il frutto della nostra esperienza e lo rendono funzionale ad aprire nuovi varchi.
Cosa c’è di più bello del sapere che non ci annoieremo mai? Che nulla è destinato a ripetersi in maniera banale, ma che tutto si trasforma? Soprattutto, la creatività ci rende protagonisti del nostro esistere e davvero fatti a immagine e somiglianza di Dio, dato che, come Lui, coltiviamo in noi la capacità di creare e di rinnovare la vita.
Ma se l’uomo censurasse la sua facoltà di sognare, perderebbe la prospettiva del nuovo. Non esiste passo compiuto nella storia se non attraverso un’immaginazione attiva. Qualsiasi traguardo conseguito è il frutto di un’aspirazione, dell’anelito a raggiungere ciò che sembrava impossibile, inaccessibile. Ad esempio siamo riusciti a volare grazie al desiderio di farlo, eppure non possediamo ali, o semplicemente arriviamo a essere felici perché lo abbiamo inseguito. Per contro cosa succederebbe se non ci consentissimo più di guardare oltre? Smetteremmo di accedere al gradino successivo e dimenticheremmo l’ambizione di rimanere memorabili, di essere significativi. Occorre pertanto che ci assumiamo la responsabilità di fidarci dei sogni, perché vogliamo stare meglio e realizzare noi stessi. Nella personale realizzazione risiede la nostra possibilità di lasciare un segno. Borges scriveva
‘essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte; la cosa divina, terribile, incomprensibile è sapersi immortali.’ (Borges J.L., L’Aleph, Feltrinelli, Milano 2011, p.18)