Siamo soliti pensare alla morte e alla rinascita come a quel passaggio in cui l’anima lascia il corpo per proseguire il suo percorso di evoluzione. Eppure, se rievochiamo gli eventi dolorosi o umilianti della nostra vita, quei momenti che davvero ci hanno segnato, ci rendiamo conto che nell’arco di una stessa esistenza moriamo e rinasciamo più volte. Di fatto, affrontare e superare le crisi ci pone nella necessità di fare i conti con noi stessi, di guardarci dentro. Lasciamo qualcosa per acquisire nuovi contenuti interiori e rinnovate modalità, perdiamo un pizzico di innocenza, ma acquisiamo consapevolezza. Cosa ci ha tirato fuori da quelle situazioni buie? Quali sono le risorse cui abbiamo attinto? Sicuramente due aspetti determinanti: la motivazione, in primis, e l’azione a seguire. Abbiamo, cioè, dovuto compiere un viaggio dentro di noi per rintracciare il senso del nostro vivere e abbiamo successivamente tradotto in termini concreti la nostra intuizione con comportamenti che la sostenessero coerentemente. Per attuare questo processo di rinascita abbiamo dovuto impiegare il nostro potere. Anche quest’ultimo, come ognuno di noi, si compone di due tipi qualità di energia, ovvero un principio maschile e uno femminile, racchiude un animus e un’anima.
Intanto è fondamentale per il nostro benessere e per la buona realizzazione del nostro percorso interiore comprendere cosa vogliono dire ‘maschile’ e ‘femminile’.
Certo non sono due aggettivi riferiti rispettivamente all’uomo e alla donna, ma due energie presenti in noi, due qualità dell’essere incarnate nei due emisferi che costituiscono il cervello. Diventa necessario allora saperne riconoscere in noi le caratteristiche… Immaginiamoci come un castello, una suntuosa dimora in cui risiedono due personaggi di alto lignaggio tra cui deve avvenire un matrimonio magico e speciale, un’unione mistica, che esalta le qualità di entrambi. Il cavaliere, principio maschile, rappresenta la nostra dimensione logica, come tipo di energia comporta la capacità di analizzare e di conoscere razionalmente. È mitologicamente quella parte di noi che si affranca dalla paura e si spinge fuori dal castello per esplorare il mondo. Sull’armatura ha inciso come blasone il simbolo del sole, la cui luce rende visibili e netti i contorni di tutte le cose.
Il maschile è quindi conoscenza, misura ed evidenza, ordine e controllo, poiché nulla deve sfuggirgli, e implica il bisogno di stabilire confini e limiti certi, competitività e guerra, ma anche cameratismo, che sono qualità legate all’aspetto sociale della vita, disciplina e concretezza, abilità di fare, parola in cui il maschile trova perfetta realizzazione.
L’altra nobile abitante del maniero che stiamo esplorando è naturalmente la bella principessa, principio femminile in noi, dimensione analogica, energia del sentire. Infatti, ha scelto di indossare un diadema col simbolo della luna, astro che nell’oscurità illumina lievemente, rendendo vaghi i contorni di tutte le cose. Invita ad abbandonare il mondo delle evidenze e a richiudersi nella propria sfera intima. Porta come qualità l’emozionalità, l’intuizione, la creatività, il sogno, l’introspezione e la capacità di vedere oltre. Sa vivere nel caos. Se il maschile sprona all’esplorazione materiale, il femminile induce al viaggio interiore, alla profondità che implica il pericolo dell’abisso. Non ama limiti e confini. Se la parola chiave del maschile è fare, quella del femminile è essere. Cavaliere e principessa sono parti di eguale importanza nell’economia della nostra vita interiore e sociale. Dobbiamo imparare a onorale e ad accudirle rispettando le loro peculiari caratteristiche, perché il loro matrimonio si realizzi portandoci equilibrio, serenità, gioia. Un buon femminile è infatti l’ispirazione che induce il maschile a fare bene, cioè a concretizzare, poiché senza l’intuizione del femminile, l’azione del maschile non avrebbe capacità di perseguire mete, così come, senza il fare del maschile, il femminile resterebbe solo desiderio o intenzione. Quando il maschile in noi perde il contatto col femminile e da esso non è rispettato o è addirittura disprezzato, diventa violento. In una società come la nostra non esiste equilibrio e i valori del femminile spesso soccombono ad un maschile ingombrante non solo da un punto di vista collettivo ma soprattutto interiore. La conseguenza è che diventiamo i peggiori censori e critici di noi stessi, tutte le volte che con naturalezza seguiamo i dettami delle nostre intuizioni e dei nostri sentimenti. Pensiamo ad esempio a quanto ci è difficile esprimere stati d’animo o emozioni, quanti uomini si negano il piacere di fidarsi, di dichiarare il proprio amore o la propria vulnerabilità, di piangere.
Una mia cliente, durante un ciclo di sedute, mi raccontava come da bambina desiderasse l’amore del padre da cui sentiva spesso dei giudizi pesanti sulle ‘femmine’. Non solo ha preso inconsciamente le distanze dalle sorelle e dalla madre, cui rimproverava di essere deboli e lagnose, ma ha preteso di essere fin da piccolissima pari se non superiore ai fratelli anche fisicamente. Sedeva a tavola e esigeva un piatto colmo come il loro a costo di scoppiare e, crescendo, ha sviluppato la tendenza ad ingrossare sul busto, com’è tipico degli uomini. Ne abbiamo insieme letto il valore metaforico e, tra gli altri significati, abbiamo compreso come, soprattutto nei momenti di difficoltà, la sua parte cavaliere emerga, a difesa delle vulnerabilità, indossando l’armatura che le consente di essere nel mondo nascondendosi il senso di inadeguatezza. Allora in cosa consiste davvero il nostro potere? Così come comunemente lo intendiamo, è ‘la possibilità concreta di fare qualcosa’ una qualità della nostra parte maschile, dunque, che comporta elementi di praticità, di operatività, di socialità per logica conseguenza. Nulla potrebbe concretizzarsi, però, se non vi fosse l’espressione della parte femminile, ossia un’ispirazione, un’intuizione che ci facilita nel definire gli obiettivi. Sostanzialmente se l’essere umano è riuscito ad andare sulla luna, è perché l’ha da sempre sognato. L’ispirazione nei secoli si è tradotta in opere d’arte, letteratura, fino a diventare scienza e tecnica. L’anelito a realizzare il sogno è l’energia che l’ha motivato e lo ha indotto a rivelare e accrescere le sua abilità.
Così è sicuramente più volte successo nella nostra vita. Se ci soffermiamo a ricordare le cose più importanti che abbiamo ottenuto e costruito, ci torneranno alla mente anche tutti i sogni che le hanno precedute. Ogni visione, ogni pensiero, ogni emozione spesa per quell’obiettivo è stata energia di sostegno alla sua concretizzazione.
Intuire (dal latino in – tuēri ‘osservare dentro’) è femminile e implica quel viaggio all’interno di noi che non termina in nessun momento e che racchiude in sé l’idea di ciclicità. In teoria non dovremmo finire mai di esplorarci e di ritornare su quello che abbiamo già conosciuto dato il suo eterno divenire. L’anima del potere, il suo aspetto femminile, è la potenza, che precede l’idea maschile del fare e che è inscindibilmente connessa alle qualità dell’essere.
La potenza risiede nella sua esclusiva capacità di sentire, generare, nutrire, trasformare e guarire. È l’abilità innata di vivere in simbiosi con i cicli della natura e di percepirsi parti di un Tutto. Il femminile è potente nella sua dote di cogliere le corrispondenze che animano la vita, di avvertire che la quotidianità, fatta di persone, relazioni, situazioni, è simbolo, per cui, al di là delle apparenze c’è sempre un contenuto profondo e non esiste separazione. La potenza del femminile è quella risorsa preziosissima che ci fa comprendere, attraverso intuizione e ispirazione, che la nostra anima ha un disegno, uno scopo di vita, una personale missione da sostenere e realizzare.
Quando riusciamo ad individuare il progetto della nostra anima, ogni ostacolo ci sembra superabile e viviamo con entusiasmo e piacere. Mente, cuore e corpo sussistono allora in perfetta armonia e ogni possibilità di malattia si annulla. Per comprendere qual è il nostro stato di salute possiamo di fatto fare subito un piccolo test. Chiediamoci quanto siamo felici, visto che la buona salute è la conseguenza della realizzazione di ciò che siamo… e se siamo felici, sappiamo che stiamo realizzando davvero il nostro progetto. È una sorta di prova del nove dell’interiorità: la felicità e la soddisfazione sono due indici sostanziali nel comprendere cosa la nostra anima vuole per noi e nella vita dovremmo dedicarci solo a quello che ci fa sentire veramente bene.
Stiamo quindi attenti a non farci deviare dai falsi miti della nostra società: grandiosità e sacrificio. Il progetto dell’anima, infatti, non deve necessariamente essere rivolto a mete ambiziose, anzi si caratterizza per la sua essenzialità. In natura, se ci pensiamo, anche le strutture più complesse si riconducono ad un’unità semplice, un modulo che costituisce la base… Magari ci piace vendere fiori, piuttosto che fare l’avvocato, o essere casalinghe, piuttosto che tentare una carriera manageriale. Aiutiamoci allora ricordando che l’eroe non è sicuramente quello che compie un’impresa speciale una volta nella vita, ma l’essere umano che vive con passione e determinazione il proprio quotidiano. Non a caso la parola ‘eroe’ ha la stessa radice etimologica di ‘eros’. Ci renderemo facilmente conto che produciamo con profitto e ci sembra di rinascere, quando investiamo amore in tutto ciò che realizziamo e ci appaghiamo del piacere che ne deriva. Nel momento in cui diventiamo coscienti del nostro valore, non ci spingiamo più alla ricerca spasmodica di consensi. Piuttosto riusciamo a dedicarci agli altri per favorire la loro realizzazione e, attraverso la loro crescita, continuare a evolvere.
L’altra trappola che dobbiamo evitare è quella vocina che abbiamo interiorizzato crescendo in questa società e che ci dice che ‘nella vita non si ottiene niente senza sacrificio’. Inevitabilmente, quindi, siamo abituati a sovrapporre il concetto di lavoro a quello di dovere e di sofferenza, quasi sentendoci in colpa se scegliamo di fare nella vita ciò che ci dà piacere. Il progetto dell’anima, invece, che si dovrebbe tradurre in ciò che facciamo nel quotidiano, è qualcosa che ci riempie di gioia, che ci manda a letto la sera stanchi ma soddisfatti e che ci dà motivazione l’indomani per cominciare con entusiasmo la giornata. La nostra missione non comporta sacrifici gratuiti e inevitabili, ma il godere di tutte le cose e la piena realizzazione di ciò che siamo. L’essere veramente noi stessi è un’esperienza speciale, che ci tiene in salute. Per rinascere in vita, infatti, dobbiamo capire come rendere tempio il luogo che abitiamo e proteggiamo, rammentando che la nostra prima abitazione è il corpo. Dobbiamo imparare a sentirlo, a nutrirlo, a gratificarlo. Per vivere sani lavoriamo sulla coscienza della sua regalità. Semplicemente ricordiamoci chi siamo e lasciamo che il corpo lo esprima soprattutto nelle relazioni. Rispettarlo ci aiuta a stabilire giuste distanze, a non fare passi verso cui non ci sentiamo pronti. Onorarlo significa comprendere che, quando ci offriamo agli altri – per amore o per servizio, per accudimento o protezione, per condivisione e conforto -, facciamo loro un dono di inestimabile valore, un dono che non ha prezzo.
Ma come facciamo a comprendere qual è il disegno che la nostra anima ha scelto di realizzare? Lei parla un linguaggio semplice, immediato, che si esprime attraverso le intuizioni, gli istinti, i desideri, gli ideali. Dobbiamo, quindi, imparare ad ascoltarci profondamente e a seguire ciò che ci piace senza farci distogliere o condizionare dalle ingerenze del prossimo, chiunque sia.
Proviamo ad immaginare una bambina che giochi da sola mettendo in atto le sue fantasie. Sogna di essere una ballerina e compie movimenti che la fanno sentire benissimo, una libellula su un palcoscenico, ammirata e apprezzata da chiunque la guardi. Lei percepisce la sua improvvisata coreografia come un’opera d’arte, l’espressione di un vero talento. È totalmente presa da ciò che fa e soprattutto si diverte, è soddisfatta. Ad un certo punto, un’adulta (la madre, l’insegnante, un sorella maggiore…) interviene nel suo gioco e comincia a correggerla, a suggerirle movimenti, a spiegarle che certe cose si fanno in maniera diversa e a mostrarle come muoversi. La bambina vedrà il suo gioco scomparire e subentrare le fantasie, le idee dell’altra. Parteciperà a quel punto ad un progetto che non le appartiene. Sicuramente il senso di appagamento non sarà più lo stesso e probabilmente percepirà disinteresse, fastidio, se non addirittura rabbia.
Le ingerenze e le interferenze sono una condizione naturale del nostro vivere sociale. Ci aiutano a crescere e a rafforzarci nel nostro intento di perseguire ciò che desideriamo, ma non lasciamo che ci ostacolino e non mettiamoci nella condizione di dare retta agli altri, alle convenzioni, ai dettami comuni, al giudizio. Non diamo retta neanche a quella che erroneamente definiamo coscienza, perché è diventata la portavoce ufficiale del nostro critico interiore, quella parte di noi che ci rimprovera quando non rispettiamo le regole che abbiamo assorbito dal contesto. L’anima soltanto sa cosa è giusto per noi ed è l’unica responsabile delle nostre azioni come dalla nostra reputazione. Ci hanno insegnato che l’egoismo è deprecabile, mentre niente dentro di noi è assolutamente condannabile. Occorre contattare la parte sana di tutte le energie che ci animano. Così un buon egoismo diventa la capacità di concentrare attenzione sul nostro progetto, di fare un buon lavoro interiore per imparare ad accudirci e proteggerci. Solo quando sappiamo prenderci cura di noi, d’altro canto, riusciamo a dedicarci all’altro con amore, impegno disinteressato, privi di aspettative. Ricordiamo per esempio come ci siamo sentiti in quei momenti in cui, appagati dal fare ciò che amiamo veramente, siamo riusciti a trasferire al prossimo buone sensazioni. Così succede ad una madre che, invece di essere legata solo agli aspetti di dovere del suo ruolo, riesce a mantenere un sano contatto con la propria parte bambina. Con piacere si mette a terra per giocare con i suoi figli sapendo divertendo un mondo e regalando loro vera gioia.
La strada per la realizzazione della nostra rinascita prevede delle tappe importanti. La prima è senz’altro sviluppare un senso di fiducia, perché ‘la vita sorride sempre a chi confida in lei’, come scrive Saint Exupery nel Piccolo Principe.
La seconda è non ergere a sovrana la ragione, che nelle sue elucubrazioni, rende tutto complesso e genera paura, dubbio, repressione, irrequietezza… tutto ciò che ci allontana dalla gioia e dalla serenità di essere noi stessi.
La terza è imparare a lasciare liberi gli altri, per poter essere liberi noi. Non sono solo le altrui ingerenze, infatti, a renderci schiavi, ma anche le nostre interferenze nella vita del prossimo. Proviamo a guardare nel nostro quotidiano. Ci renderemo conto che siamo sottomessi da chi sottomettiamo, prigionieri di chi abbiamo legato a noi. Molto spesso questo si verifica proprio nelle relazioni intime, nei rapporti con il nostro partner, con i genitori o con i figli. Tendiamo a lamentarci di quanto il prossimo sia oppressivo, di quanto voglia imporci la sua volontà, di quanto ci soggioghi ai suoi bisogni a discapito dei nostri desideri. Dimentichiamo però che i rapporti sono sempre un gioco a due in cui le parti sono complementari. Se mi considero vittima e come tale mi comporto, l’altro vestirà inevitabilmente i panni del carnefice. Qualcosa nel nostro inconscio evidentemente ci induce ad accettare reciprocamente questo tipo di ruolo. Ma quale peggior carnefice della vittima esiste? La vittima indugia nel suo dolore, spesso generando in chi gli è affianco sensi di colpa, e rimandando di trovare soluzione al suo disagio. Trattiene gli altri nella sua stessa, sofferta condizione. Se allora facciamo il punto sulle nostre relazioni, ci renderemo conto con facilità che siamo scontenti dell’altro, litighiamo, ci arrabbiamo, quando lui non realizza le nostre volontà o aspettative, quando non si comporta come avremmo voluto, quando non accettiamo che la pensi diversamente da noi. In altre parole siamo i primi ad esercitare ingerenze e controllo nell’altrui vita. Un buon inizio? Cominciare a pensare a strategie concrete per poter lasciare andare chi stiamo trattenendo e ricordare cha amare significa prima di tutto onorare la propria libertà come quella dell’altro.
Comments (2)
ClaRo
Agosto 20, 2013 at 22:24Carissima Zuleika,
sento che questo tema mi tocca da vicino.
Come scrivi nel tuo articolo “Il progetto dell’anima, invece, che si dovrebbe tradurre in ciò che facciamo nel quotidiano, è qualcosa che ci riempie di gioia, che ci manda a letto la sera stanchi ma soddisfatti e che ci dà motivazione l’indomani per cominciare con entusiasmo la giornata.” e davvero questo é ciò che mi accade.
Il mio lato maschile si sta dando un gran daffare per questo progetto: organizza lavori di ristrutturazione, chiede preventivi e li valuta, chiede consigli a persone più esperte, sperimenta e osserva i risultati traendone conclusioni e correggendo il tiro ove possibile, pulisce stalle, divide il fieno buono da quello cattivo… ma mi rendo conto che tutto questo “fare”, seppur stancante, non è un “frullatore”. Ci sono. Sono esattamente dentro queste scelte, dentro queste azioni. Sto vivendo il progetto. E non sono sola perché (meraviglia!) il progetto non è solo mio. Molti tratti sono in comune col mio compagno.
Cuciniamo di più, “lavoriamo” di più (giardino, orto, animali, casa), usciamo meno di prima, ma paradossalmente la nostra socialità è più intensa. Siamo molto spesso a tavola in tanti, sia a casa nostra che a casa dei vicini. Abbiamo compreso il senso del proverbio “Meglio un bravo vicino che un parente lontano” perché se devi chiedere un passaggio per andare a far la spesa, se hai bisogno di qualcuno che annaffi l’orto in tua assenza, se vuoi una vanga in prestito… queste cose le chiederai con fiducia al tuo vicino il quale, quando gli sarà possibile, accudirà i tuoi bisogni con amore. E a tua volta tu accudirai i suoi quando ti sarà possibile.
Sento che il mio femminile è sveglio, ascolta (o meglio “sente”) ciò che è funzionale a questi passi e ciò che non lo è e dopo aver sentito sceglie. Il maschile vorrebbe fare tutto sempre. Il femminile no. Va bene mantenere le amicizie ma se ci sono delle urgenze quotidiane per quel giorno bisogna dire no a quella persona che mi toglierebbe tempo e/o energie. Magari pianifichiamo un altro momento, oppure, rimandiamo a data da destinarsi un incontro tenendoci in contatto solo telefonicamente. Se invece l’urgenza è “guardarsi dentro” magari si prende tempo per una meditazione, per una chiacchierata con qualche amica “illuminata” e si rimanda il lavaggio dei piatti a domani.
Forse dico banalità, ma in questa fase mi sento così.
Non riesco a essere “precisa” come mi accadeva un tempo, cambio idea, un giorno faccio mille cose e quello dopo mi par di essere inconcludente. Sempre con un occhio alla ciclicità che la natura impone. Prima dell’inverno la scuderia deve essere fatta se no il cavallo non può ripararsi e allora non ci sono domeniche di svogliatezza che tengano: si organizza il lavoro e si porta avanti.
Grazie al percorso fatto insieme, ho trovato il modo di ascoltarmi e non lo cambierei con nulla.
Per poter seguire un esempio devi avere qualcuno che te lo dà e sicuramente la realizzazione del tuo progetto dell’Anima è evidente e la tua disponibilità a “far prendere il volo” ad altri è completa.
Buon “lavoro” 😉
Zuleika Fusco
Agosto 22, 2013 at 21:38carissima ClaRo, grazie davvero per questa testimonianza che ci insegna quanta energia e quanto entusiasmo arrivino dalla strada che percorriamo e dalla realizzazione del nostro progetto!!!! seguire i dettami dell’anima ci rende sereni ed entusiasti, anche felici… e le tue parole lo dimostrano palesemente! sono davvero lieta di poter assistere alla tua crescita e alla concretizzazione del tuo sogno. ti abbraccio con tanta buona energia e ti invio un sorriso dal cuore 🙂