La storia dell’esplorazione delle montagne, della conquista delle cime e dell’apertura di nuove “vie” è fatta di avventura, coraggio, forza fisica e mentale, ispirazione, evoluzione della tecnica, ma anche costellata di tragedie, tradimenti, truffe, superomismi che nulla hanno a che vedere con chi vive in simbiosi con la montagna, che sia perchè praticante o perchè ne porta dentro la filosofia. Qui non abbiano intenzione di ripercorrere la storia dell’alpinismo o di segnalare l’ultimo record di ascensione senza l’uso di bombole di ossigeno. Ma suggerire uno sguardo sincero verso il profondo significato dell’andare in montagna, del provare a vivere un momento con lei. Che sia sui mille o sugli ottomila metri.
A parlare di montagna si evocano luoghi mitici, dal Tetto del Mondo alla Patagonia, Ande, Karakorum. Per non dire delle montagne italiane, senza andare poi così lontano. A pensare a lei attraverso libri celebri (al di là della trama) si scopre che è “incantata”; a cercare frasi, motti, aforismi che in poche righe ne esprimano il significato, si riempiono pagine. Tutto svanisce con le cronache che – puntuali – riferiscono di incidenti spesso mortali. Spesso dettati da disprezzo, sfrontatezza, mancanza di un minimo di preparazione fisica e di prudenza, da parte di chi non sa ascoltarne la voce.
“In montagna si va preparati, quale sia il percorso scelto, dal semplice al più impegnativo – spiega con fermezza Tonino Tanzella del Cai-Club alpino italiano di Pescara -. Stando al periodo invernale, è fondamentale l’attrezzatura per essere trovati in caso di valanga: sonda, pala, Artva. Controllare le previsioni meteo e attenersi a ciò che dicono, saper leggere un versante per valutare lo stato della neve. Ma gli incidenti ci sono tutto l’anno: si va senza cognizione, così, sprovveduti. Rischiando di farsi davvero male o di passare brutti momenti. Ma non basta pensare che tanto verrà a prenderti l’elicottero del soccorso alpino, che partiranno le squadre a cercarti”.
“La montagna va insegnata, è da scoprire per gradi, andando con chi è più esperto. Oggi si pretende il tutto e subito, non è così – aggiungono Elvio Verna e Gabriele Di Falco, sempre del Cai Pescara -. In montagna bisogna essere disciplinati, non improvvisarsi esploratori. Andare con coscienza e rispetto. Saprà ricambiare con il suo paesaggio, mai uguale e sempre meraviglioso, l’aria, lo sguardo che si allarga su zone non antropizzate. Per fare questo bisogna conoscere i propri limiti, senza azzardare. Mai, neanche per una scampagnata”. In caso di temporale, per esempio, sapreste che fare? Vi riparereste sotto un albero isolato? No, a scanso di equivoci.
“Non si va mai da soli anche se super attrezzati – conclude Tonino Tanzella -. Non si fanno fuoripista, meno che mai se è ampiamente comunicato il pericolo valanghe. Le tragedie, spesso, sono annunciate”.
Per chi vuole avvicinarsi alla montagna o per chi vuole approfondire la propria conoscenza, non sarebbe male frequentare un corso del Cai o quantomeno informarsi presso la sede più vicina quando si intende organizzare un’escursione.
Sia concessa un nota personale. Ho cominciato ad andare in montagna da piccolo e negli anni ho mantenuto viva questa passione. Sono più da “media montagna” che da arrampicata e alpinismo, ma i miei bei giri li ho fatti e faccio ancora. Tutto grazie ad un maestro insuperabile che mi ha insegnato a dosare il piacere di andare con la prudenza, sempre: mio padre. Il suo motto? Tanto semplice quanto incontrovertibile: “Vado in montagna perchè voglio tornarci”. Ecco, è chiaro il concetto?
(Foto: utente mckaysavage da Flickr sotto licenza CC)