Avere, possedere, essere. Chi sa apprezzare ciò che ha, ne gode serenamente

PIN

Quante volte nella vita ci lamentiamo? Quante dimentichiamo di notare che la nostra condizione, anche quando sofferta, ci rimanda aspetti positivi? L’esercizio del ‘bicchiere mezzo vuoto’ è una pratica talmente usuale che, persino nelle più banali conversazioni quotidiane, la nota che si evince è sempre quella della mancanza, del disagio… Eppure la vita ci insegna che, per una legge di complementarità e di ricostruzione dell’unità, le polarità si attraggono. Ineluttabilmente ci sono quindi, come la cultura popolare ci tramanda, matrimoni in cui si piange e funerali in cui si ride…

L’opportunità che raramente cogliamo è l’essere contenti di ciò che abbiamo. Notiamo allora che possedere è diverso da avere. Avere  richiede un rapporto sereno con le cose e le condizioni, la capacità di comprendere che è un contatto transeunte, in cui non c’è attaccamento. Ciò che abbiamo oggi, in altri termini, può essere differente dalla condizione di domani. Avere ha infatti una connessione sotterranea con essere. Implica la quantità del nostro stare nelle cose. Possedere richiama invece ad una stasi che imprigiona chi possiede come cosa è posseduto.

Tendiamo a possedere anche persone pur di cercare rassicurazioni alla nostra paura, eppure nell’esercizio del possesso il senso di precarietà si esacerba, proprio perché non si accudisce una vulnerabilità personale con l’idea di rendere tutto fermo e immutabile. E non si è mai sereni quando si vive una tale condizione, perché si diventa rigidi di fronte all’imprevisto e incapaci di godere. Proviamo per esempio a pensare i rapporti affettivi in cui subentra la convinzione che l’altro ci appartenga. Sviluppiamo un atteggiamento guardingo e diffidente, impedendo alla persona amata come a noi stessi di vivere tranquillamente. Siamo sempre in difficoltà, perché in realtà la paura della perdita supera il livello di amore, e smettiamo di apprezzare qualità e circostanze, mentre ci nutriamo di dubbi e di sospetti. L’amore così si lacera, perché si depriva dell’opportunità di evolvere e della fiducia, che dovrebbe essere la base certa del rapporto.

Ma anche con gli oggetti e i soldi, il possesso funziona in maniera deleteria, facendoci perdere il senso del bello, della condivisione, e innescando un automatismo di pre-occupazione. In altri termini, viviamo per accumulare sostanza e non siamo mai appagati da ciò che riusciamo a produrre, né tanto meno ne beneficiamo a livello interiore. Fagocitati dallo stile di vita di massa, avvertiamo solo il peso di ciò che dovremmo conquistare, sviluppando il bisogno consumistico di cose superflue e non apprezzando veramente il valore o l’opportunità di godere di ciò che abbiamo per poi saperlo lasciare andare. La circolarità del dare-avere fa parte della naturalezza della vita, che si bassa una eterna dinamica di trasformazione, come ci ricorda Lavoisier attraverso il principio della termodinamica, trasformando in linguaggio scientifico ciò che la spiritualità tramanda da millenni, ossia che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si ripropone in nuova forma.

Ma qual è il fantasma interiore con cui ci confrontiamo e che alimenta questa innaturale necessità di trattenere, di rendere ferme condizioni e situazioni di vita? La paura della morte, che ci blocca, ci attanaglia, costringendoci a ribellarci infruttuosamente alle Leggi più evidenti e sottraendoci piacere. Per spostare l’attenzione dalla morte, lasciamo che un carattere mortifero colori tutto ciò che ci circonda. Non c’è niente di più triste e privo di vita, infatti, della nostra mania di collezionare oggetti, di tenerli per noi, o di vivere un rapporto basato sul possesso.

Allora, cerchiamo di amare ciò che abbiamo, di coglierne tutta la risorsa, perché il senso della relazione con la vita non è la sua immutabilità, ma la possibilità di ricavare il bene da ogni esperienza. Bene vuol dire anche piacere. Chi sa apprezzare ciò che ha, infatti, ne gode serenamente

Lascia un commento

Informativa Policy