Che relazione hai con i giorni festivi? Con le ricorrenze, ma anche semplicemente con i giorni del fine settimana? Sei una di quelle persone che li vive con piacere, o li soffri un po’, non avvertendoli importanti?
Onorare le feste è un insegnamento ribadito tanto dalla religione. Per i cattolici, che lo considerano il terzo comandamento, occorre fermarsi la domenica, per i musulmani il venerdì, per gli ebrei il sabato. Un giorno in cui Dio ricorda di riposare per ritornare a se stessi e al cuore. La religione indica regole che servono a disciplinare lo spirito, in un vademecum quotidiano che ci contiene, come bambini portati per mano che non devono perdersi. Non casualmente ribadisce il valore del giorno in cui persino la divinità sceglie di fermarsi, dopo aver lavorato molto… ti sei mai chiesto come mai?
La spiritualità è invece una via individuale di rispetto del proprio sentire e della propria etica. Ci invita all’auto-disciplina e alla volontà di stimolare la nostra crescita ogni giorno, facendo tesoro delle esperienze, vissute per imparare e mantenere il cuore vicino a quella dimensione sottile con cui il dialogo è costante, al di là degli occhi. Gli occhi infatti sono chiusi, quando si tratta di ineffabile, perché possa aprirsi piano piano quel terzo occhio che rivolge prima di tutto il suo sguardo all’interno, con fede e fiducia.
E le pause servono proprio a questo. A sospendere il fare, l’azione, il lavoro, per educarci all’essere. Nella pausa possiamo ascoltarci profondamente e accogliere quello stato di vuoto che favorisce le intuizioni, l’ispirazione a ciò che sarà.
È l’insegnamento del Tao e del suo precetto del wu wei, del fare col non fare, ed in maniera laica lo tramandano anche i progenitori romani come Ovidio, Seneca, Cicerone, quando contrapponevano al negotium i necessari momenti di otium, in cui ci si dedica alla vita privata, alla meditazione, alla filosofia, a riconoscere se stessi.
A volte cadiamo nell’autoinganno che lavorare sempre sia una dimostrazione di responsabilità, ma il primo dovere che abbiamo è probabilmente nei nostri confronti ed è essenziale, quanto complesso, imparare a prenderci cura di noi. Questa società ci vorrebbe sempre attivi e produttivi. Ma siamo certi che produrre significhi muoversi senza tregua? O forse l’illuminazione necessita di un momento di silenzio interiore?
I giorni di festa andrebbero quindi celebrati. Sono passaggi necessari per ritrovarsi, riscoprirsi e valorizzare la bellezza della vita come dono. Nella sospensione dell’azione e della routine, ci ricordano il significato del tempo quale patrimonio, unica ricchezza di cui realmente disponiamo, e ci fanno riflettere che ciò che possediamo non avrà mai più importanza di chi siamo. Per essere sereni dovremmo infatti comprendere il significato del tempo che passa, per godere della pausa e assaporando la felicità, sapendo prescindere da esso.
La festa è un invito a ricostituire l’armonia nella nostra quotidianità, a staccarci dalle cose e dalle attività con cui ci identifichiamo, per rinnovare le energie, ristorare corpo e mente, guardare con più lucidità. Solo nel vuoto possiamo ritrovare entusiasmo e serafico distacco rispetto al pieno. Smettere di bramare, che è la perfetta condizione per ottenere.
E se credi di avere un’anima, le feste sono anche l’occasione di celebrare il ciclo della vita. A partire dal compleanno, che è l’opportunità di festeggiare la sua scelta di incarnarsi e di nutrire quel sentimento così prezioso, la gratitudine, che ci farebbe bene alimentare quotidianamente, per mantenere il cuore aperto.
Piuttosto che ignorare i festeggiamenti, trova motivi per creare momenti di festa e lasciare chi ti ama condividerli con te. Onorare i passaggi ti aiuterà a serbare integro l’entusiasmo e a svegliarti ogni giorno con la parola grazie sulle labbra.
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