Per crescere nell’arte, occorre amarla… Intervista a Pablo Veron (parte I)
Quando ho conosciuto Pablo, sono rimasta incantata dal suo garbo. Rientrava da un viaggio di lavoro in Canada a Roma e, nonostante gli impegni e la stanchezza, ha fatto in modo di incontrarmi ad orari impensabili pur di tenere fede alla parola data. L’ho visto arrivare nascosto dietro alla visiera del suo berretto, con il passo inconfondibile e armonioso di chi vive la saggezza del proprio corpo. La voce profonda e gentile, ma soprattutto la sorpresa di uno sguardo che subito racconta di esperienza e intensità emozionale. Nel tempo Pablo mi ha confermato la bellezza della prima impressione, mostrandosi come un uomo umile, empatico, capace di cogliere la Bellezza nell’animo degli altri. Quando parli con lui, ti rendi conto immediatamente che ha compiuto un importante percorso di auto-conoscenza e che è impastato di musica. Intercetta le note nell’aria e balla continuamente, anche attraverso i micromovimenti che compie mentre fa qualsiasi cosa. La sensazione è che sia sospeso tra cielo e terra, come un’antenna che capta e tramuta le intuizioni in arte. Ho desiderato che altri lo potessero conoscere dal versante umano e artistico, al di là del cliché del ballerino di tango, ed ho avuto il piacere di intervistarlo in pubblico.
Ancora una volta, giunto a filo di quel tempo che forse un po’ gli pesa gestire, è arrivato nascosto dietro alla sua visiera. Ha salutato con amorevolezza le persone, ha sorriso, ha scoperto i suoi occhi, generando una pausa attiva in cui tutti eravamo pronti. E da lì è cominciata la magia che ha pervaso la sala.
Zuleika: Caro Pablo, certamente la fama ha vantaggi e svantaggi. Un po’ sei stato identificato con i personaggi che hai interpretato nei film. Qual è il limite che si tocca, quando si rappresenta un’icona a livello internazionale?
Pablo: Nel caso di Lezioni di tango, è stato anche peggio. Questa pellicola era un esperimento. Era l’unica pellicola in quel momento con una prospettiva artistica sul tango e una caratteristica specifica era la mescolanza di realtà e finzione. Per questo portavamo nel film i nostri veri nomi. Quindi mi ritrovavo nella vita a incontrare gente che riteneva di conoscermi, perché pensavano che il film fosse autobiografico, ma non lo era!!! In questo film io rappresento un personaggio un po’ archetipico del tango e, nello sviluppo della storia, questo personaggio ha una sua evoluzione. Però le persone si fermano un po’ alla considerazione dell’archetipo… e quindi di un uomo autoreferenziale, centrato su di sé, egoista. Anche se si crea un contrasto tra il personaggio dell’inizio film e del finale.
Io non desideravo diventare famoso, tanto meno un’icona. Secondo me si diventa un’icona quando si arriva a manifestare una forma di arte e di auto-espressione che poi definisce un momento storico, un tempo. Il contro di essere un’icona è il non poter continuare la ricerca e, quindi, già immediatamente si invalida il concetto di icona, perché cominci a identificarti con l’importanza di esserlo. Credo che proprio la mia caratteristica di ricerca nel tango mi abbia dato l’opportunità di essere scelto per il film e il mio intento è certamente proseguirla. Mi rendo conto che ero abbastanza incosciente in quel momento, di quello che stava accadendo e di me stesso. Questa fama mi si è ritorta contro. Era troppo. Molto lavoro, anche buono. Molte persone attorno falsamente interessate. Anche molte persone buone, ma io non riuscivo a comprendere se mi fossero vicine perché proiettavano su di me qualcosa o genuinamente. Penso che la fama possa, a livello relazionare, diventare un disagio, se non si sviluppano i rapporti profondamente. A tal punto che ad un tratto ho avvertito il bisogno di ritirarmi, di non fare più niente. Sono arrivato a detestare tutto ciò che il tango stava diventando. E quindi ho dovuto riscoprirlo, rivalorizzarlo. Perciò non ho ballato in pubblico per circa dieci anni. Mi sono ritirato al freddo, in Canada, per tanti anni, con la necessità di fare altro. Stare nella natura, studiare musica, altri balli. Sentivo che quel film aveva riportato in auge il tango, ma che era anche una manovra commerciale grandissima. Di questo fa parte anche l’idea di un “tango nuevo”, come se il tango fosse morto e ci fosse qualcosa che invece nasceva. Da lì la definizione di “nuevo”, inteso come altra cosa. Ma il tango non muore, continua. Si può accelerare la sua evoluzione, così come tutto si velocizza in questa epoca…
Io vengo dal tango. Non sono creatore del ‘tango nuevo’, ma si creò questa confusione
Z: Sei un artista a tutto tondo… musicista, ballerino… che cosa significa per te “processo creativo” e in te come funziona?
P: Il processo creativo nel mio caso è qualcosa di quasi incosciente. in effetti è come se avesse dei suoi propri meccanismi, che funzionano costantemente. Posso parlare con una persona di un argomento molto importante e nel frattempo immaginare un passo di tango. A volte mi si legge in volto ed è come se mi fossi distratto. Come una specie di immaginazione plastica che sta sempre funzionando con dinamiche proprie, indipendenti dalla mia volontà. Il processo si può accelerare nel caso di un lavoro mirato, specifico, come nell’ ideazione di una coreografia. Però questo per me è più restrittivo. Stabilisco dei parametri e lavoro in maniera più focalizzata, pensando ad un processo in cui la danza deve riflettere la musica. Per il processo creativo invece mi sembra sia molto importante non pensare, disconnettersi. Quindi predisporre una ispirazione senza una volontà predeterminata. C’è qualcosa di interessante che sempre arriva per conto suo
Z: Parlavi dell’importanza della musica nell’ambito del tuo processo creativo. In senso generale che ruolo ha la musica nella tua vita? Come la vivi?
P: La musica per me è al primo posto nella vita. Mi accompagna nei miei differenti umori durante la giornata o mi da qualcosa che mi manca e che quindi ricerco in essa. Fin da piccolissimo sono stato particolarmente sensibile alla musica, di cui sono un grande consumatore, senza mai stancarmi di ascoltarla. Ascolto qualsiasi genere. Dalla musica autoctona, per esempio delle filippine, a quella popolare. Tanto la classica o quella afroamericana… la musica delle culture scomparse. Per me è fondamentale la condizione di scoprire. Penso che tutto sia collegato ad una dinamica interiore. La musica dà l’opportunità di scoprire ciò di cui necessitiamo. Per me è davvero la madre di tutte le arti.
Z: Che relazione esiste per te tra arte e crescita personale?
P: Per crescere nell’arte, occorre amarla. Se ami, cresci anche come persona. Non credo invece che per evolvere sia necessaria l’arte. Se si ha un temperamento artistico, probabilmente i due processi, lo sviluppo artistico e quello personale, si mischiano. Ma non è sempre così. Si conoscono infatti persone che erano grandissimi artisti ma umanamente un disastro. Wagner per esempio. Per la crescita personale è meglio non identificarsi con l’arte o essere in grado di prendere una distanza, se necessario. Però certamente ciò che l’arte genera nell’essere è una ricerca dell’ideale di Bellezza, che rende l’artista tormentato, visto che la perfezione non si raggiunge. E, se cade in questa dinamica, l’artista non utilizza la sua arte per raggiungere la pienezza, perché l’identificazione con la sua arte lo intrappola…. Oppure no, se ricerca attraverso l’arte se stesso nel senso di spiritualità, perché certamente l’arte può ispirare spiritualità.
Z: Spiegavi che a volte è difficile per l’artista confrontarsi con la propria condizione interiore. Come si gestisce allora il senso di frustrazione?
P: Il tango è una metafora della vita. Se una persona non si guarda interiormente, non intraprende un cammino di auto-analisi, è possibile che la frustrazione cambi, ma non si trasformi realmente. Nel tango, come del resto nella vita, credo conti molto l’interazione con l’altro, con quello che ci porta… emozioni, sentimenti, il desiderio, le proiezioni… tutti elementi che si pongono nel tango e diventano come uno schermo che riflette la propria vita. In questo senso il tango è un campo di autoanalisi molto propizio. Quando mi ha chiesto della frustrazione, ho subito pensato all’ambito relazionale, alla difficoltà generata dal vivere in società. Ma esiste anche la frustrazione con se stessi, conseguente al desiderio di svilupparsi, di voler raggiungere fama, riconoscimento, essere richiesto. Si vede molto velocemente nel tango questo. Molta gente lo manifesta in tempi brevi. Credo che la frustrazione dipenda anche da quando si pone molta attenzione alla forma. Per andare avanti nella metafora del tango, lo riconosco molto nelle persone che basano la loro ricerca sul “voglio ballare così” e questo incontra limiti rapidamente, perché ciò che il tango ti mostra è che ognuno è differente. In tal senso questa danza è molto importante, perché ti porta a sviluppare sensazioni, emozioni e sentimenti che sono legati alla psiche, a un modo di pensare e alle credenze. Ti confronti con te stesso. La persona comincia a sentire che ha toccato un limite. Magari il tango le sta parlando -Funziona, non funziona, o funziona, ma non sa perchè!- C’è un processo personale da compiere. E per gestire questa complessità, e forse la frustrazione che può derivarne, occorre vivere nel corpo. Più infatti la persona vive nella mente, nell’astratto, più si disconnette dal corpo, più questo nel tempo diventa mancanza di realizzazione personale e frustrazione di non essere
Z: Quali sono i valori che hanno ispirato il tuo percorso?
P: La gioia di ballare è stato il primo. A 5 anni ho visto un film con un ballerino di tip tap, Gene Kelly. Al di là del talento e la grazia che mostrava, era un cartone animato dove lui ballava con i disegni. L’ho visto e ho detto “voglio questo”. La felicità e la pienezza di essere liberi ballando con i cartoni animati.
Penso poi che sia molto importante l’ideale di Bellezza, di cui parlavamo prima. Realizzarlo attraverso l’armonia e la fluidità nel ballo. Poi ho scelto il tango, perché mi appariva estremamente interessante ciò che avveniva all’interno della coppia che sta ballando. Tutto questo mondo intimo che dall’esterno io intuivo succedesse, ma non ancora comprendevo. Attraverso molte frustrazioni, ballo da 32 anni il tango.
Mi ha sempre ispirato anche il valore della ricerca della verità di questo ballo. Quindi ho studiato per cercarne le origini, anche attraverso i maggiori rappresentanti che erano vivi. Quasi una ricerca archeologica con le persone che c’erano ancora. Conoscerli, Relazionarmi con loro, invitarli a mangiare insieme, esserne amico per intendere come fosse il tango, questa cultura che attraverso il ballo esisteva in loro. Era interessante indagare quindi questo concetto di una cultura che prende forma attraverso il ballo. La ricerca della verità quindi mi sembra determinante. Può molto aiutare nella confusione che regna nel tango oggi…
E in sala si alternano momenti di assoluto, rapito, silenzio e di applausi entusiasti. Le parole di Pablo, pura energia, accarezzano il cuore di tutti i presenti…
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